Visualizzazione post con etichetta Curiosità. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Curiosità. Mostra tutti i post

lunedì 28 maggio 2018

Quando colpisce di più il carattere

E' risaputo che quando passeggio per le vie di Milano (dove vivo attualmente) o Palermo (dove sono nata e cresciuta), il mio sguardo tende a proiettarsi verso l'alto per catturare qualsiasi cosa che mi desta curiosità, e non, verso il basso con il rischio  di riflettere sui miei dubbi esistenziali.

Insegna a Milano | Eleonora Petrolati

Una fra tutte le cose che mi hanno sempre affascinato sono le insegne e, in particolar modo, lo stile che si è scelto per realizzarle.
Spesso mi è balenata l'idea di entrare fugacemente e chiedere al gestore del perché aveva scelto proprio quel font, che cosa voleva esprimere, che cosa voleva raccontare a partire dal titolo. 
Ma chi sono coloro che creano tutto questo? Esistono? Certo che sì! L'arte della calligrafia sta raccogliendo sempre più seguaci; lo sa bene Betty Soldi che nel suo Inkspired (già il titolo mi piace un botto) edito da Kyle Books, suggerisce nuovi modi di riscrivere l'alfabeto

Betty Soldi
Libro Inkspired di Betty Soldi

Se dovessi ripensare al mio approccio alla scrittura, mi vengono i brividi visto che mi schiaffeggiavano se vedevano la lettera a (o altre vocali) non perfettamente ricopiata.
Non pensate che lo studio che c'è dietro la creazione di una scrittura sia relegato solo ed esclusivamente al mondo umanistico (quindi colonne di libri, polvere a mai finire e luminari dalla barba lunga alla Halbus Silente), non è affatto così! Ad esempio il noto marchio di moda Gucci ha preso in prestito il carattere dai videogiochi Sega nella collezione donna primavera/estate 2018 presentata a Milano.

da vogue.com

da vogue.com

Oppure basti pensare a quante persone visitano giornalmente il famoso sito Dafont.com, una vera e propria miniera in fatto di lettere. 
Se come me siete suggestionati dagli stili dei nomi dei locali vi consiglio di dare un'occhiata a Lettering da, creato da Silvia Virgillo e che raccoglie le più pittoresche insegne di esercizi commerciali di tutta Italia. 

Attenzione! In quasi tutto il post ho disseminato le foto pescate dal sito di Silvia perché mi sono letteralmente innamorata del suo progetto. 

Insegna a Genova | Letizia Macaluso

Insegna a Roma | Antonello Ciavarella


venerdì 1 aprile 2016

Pasqua in eleganza

Nel mio lungo girovagare tra i paesaggi della Sicilia, quest'anno mi sono imbattuta nella festa che si celebra a Pasqua a Piana degli Albanesi. "Mi andò di lusso!" si direbbe a Palermo quando un'azione va in porto e l'espressione mi sembra abbastanza azzeccata poiché gli abitanti di questo ridente paesino poco distante da Palermo, hanno l'usanza di vestirsi in maniera non del tutto sobria (il mio sarcasmo emerge sempre!). 
Chi può ha il privilegio di indossare il costume tradizionale composto per le donne da: 
- gonna 
- camicia
- gilet
- scialle



Questo è il sunto del sunto perché la realtà dei fatti è un po' diversa. 

La gonna è di cotone pesante, ricamata finemente e si chiama gzilona; essa è fermata da una cintura di oro e argento che pesa circa 800 grammi chiamata bresi; sopra c'è un corpetto in pendant con la gonna, e sotto il corpetto, una camicia di cotone spesso di colore bianco, la ligna. 




Ovviamente non esiste solo un modello femminile (non sia mai!) bensì due: la girona (gonna decorata con tre strisce poste in basso) e la pampiniglia (gonna con fantasie che richiamano gli araldi). In più, diverse ragazze indossano sopra la camicetta un bolerino di velluto nero chiamato gipune. Il tutto è riccamente impreziosito da crichia, curcez e pindalet, che sono i gioielli. 




Non ho potuto resistere e mentre intervistavo (meglio di un brooker modaiolo) una delle belle del villaggio ho ceduto e chiesto se avessero caldo, visto che c'erano ben 35°. La donzella, mostrando un sorriso smagliante, mi ha risposto che loro erano abituati e che poteva essere solo un piacere indossare il costume tipico. 
Come dicevo prima, non tutti hanno questo privilegio proprio perché esso ha un costo molto alto e si tramanda di generazione in generazione.



martedì 14 aprile 2015

Che figata i Matrimoni Eco-sostenibili!

Un nuovo trend alle porte nel campo del wedding? Le eco nozze. State tranquilli che non è la classica trovata pubblicitaria per accalappiare più gente possibile bensì un progetto molto interessante e dalle ampie vedute culturali e soprattutto commerciali.
Effettivamente nel settore matrimoniale c’è una nicchia in continua crescita ed è proprio il business della cerimonia sostenibile che prende spunto dal mondo della moda, dove la filosofia del riuso sprona stilista, nuovi marchi e grandi aziende come Carmina Campus, brand di accessori riciclati nato nel 2006 da un’idea di Ilaria Venturini Fendi. Pensate che in Italia la second hand economy è un mercato da 18 miliardi l’anno e impiega 80mila persone.




Seguendo quest’ottica l’imprenditrice Daniela DallaValle, insieme agli insegnanti dell’Istituto Vallauri di Carpi (Modena) ha lanciato il progetto Eco Wedding. Si tratta di un percorso di formazione con lo scopo di sviluppo lo spirito manageriale degli studenti sul tema: << L’idea è reinventare e riarogette oggetti e tessuti di scarto per una cerimonia che si vuole “da favola”>>, spiega DallaValle, che dirige l’omonima S.p.a carpigiana. La sua azienda, costruita con l’utilizzo di materiali ecocompatili e in risparmio energetico, progettava già una linea di abbigliamento da donna e uomo, accessori, biancheria, complementi di arredo e opere d’arte e ora ha deciso di esplorare anche il mondo del wedding.



martedì 17 marzo 2015

La vita a colori di Lilly Pulitzer


Stampe ideate da Lilly Pulitzer

Se leggeste l’articolo che mi ha invogliato a parlare della vita di questa donna non credereste ai vostri occhi perché vi sembrerebbe un’autentica favola. Già dal cognome che porta, dovreste capire che importanza ha avuto soprattutto durante gli anni 60 in America, ma lei, ha fatto tutto da sola. Allora seguitemi alla scoperta della caleidoscopica vita di Lilly Pulitzer.
Nasce il 10 Novembre 1931 in una famiglia molto mondana  a Roslyn, un quartiere chic di New York.  Frequenta le scuole più prestigiose fino ad arrivare al Finch College che lascerà dopo un solo semestre preferendo abbracciare la vita. Nel 1950 scappa (detto da lei) con Peter Pulitzer, nipote dell’editore Joseph  e vanno a vivere a Palm Beach, in Florida, totalmente diversa da quella che si conosce oggi.


<< In estate era una città fantasma, morta, sono un paio di negozi restavano aperti>>. Fanno una vita da sballo (lasciatemi passare il termine), danno party, ballano, cantano, tutto molto easy, senza fronzoli e tutta Palm Beach va da loro: i van der Kamp, i Doubleday, i Drexel.  Lilly, però, inizia a farsi delle domande:
<< Non ero matura, tutti decidevano per me>>. Così  decide di prendere appuntamento alla clinica più famosa  della città in fatto di esaurimento nervoso. Il dottore la visita, le dice che non ha niente e conclude dicendo << Lei ha solo bisogno di darsi da fare >>. Quelle parole sono la chiave di volta per Lilly.

Lilly da giovane 

<< Mio marito aveva degli aranceti a Fort Pierce. Volava la tutte le mattine e alla sera tornava con delle buste di arance. Io con la mia station wagon le andavo a vendere. Mi piaceva ma Peter mi disse che non poteva più darmele, le avrei dovute comprare>>.  Detto fatto,  apre un negozio di spremute nella storica via Mizner di Palm Beach vicino ad un negozio di fiori e una panetteria.  L’ambiente è piacevole, circondato da buganvillee e gli amici si fermano, chiacchierano, si dissetano mentre Lilly lavora. << Ma la sera ero coperta di macchie arancioni >>. Trova subito una soluzione: un tessuto dello stesso colore e si fa confezionare 12 vestiti di quel nuances.

martedì 3 marzo 2015

Cibi letterali

Vi siete mai chiesti cosa si proverebbe a vivere come i protagonisti dei romanzi che più vi hanno incantato? Ma soprattutto, cosa si proverebbe a mangiare le stesse cose che testavano?
Non vi è mai passato per la mente di voler assaggiare quello che il vostro eroe della letteratura amava di più o semplicemente gli veniva propinato? 
Personalmente avendo una fervida immaginazione cercavo di fantasticare anche su come fossero gli utensili, le decorazioni della tavola, gli oggetti che c'erano e la loro disposizione. 
Dinah Fried, designer americana, ha fatto un'interessante esperimento che mi ha destato molta curiosità e i risultati li ha racchiusi in questo libro.

                                                             

Dinah Fried

                                                                      
Fictitious Dishes - An Album of Literature's Most Memorable Meals racchiude più di cinquanta fotografie che ricostruiscono i più famosi pasti della letteratura straniera. 
Di ogni opera viene riportata la pagina con l'attenta descrizione del desco, della tovaglia, delle stoviglie e delle pietanze e viene affiancata la ricostruzione visiva.
Ci sono pasti bizzarri e inconsueti come la zuppa di frattaglie consumata da Leopold Bloom dell'Ulisse di Joyce, raffinati come la Boeuf en Daube in Gita al faro di Woof, intere tavole allegramente imbandite che compaiono ne Il grande Gatsby e cibi molto semplici come il pudding di riso in Affari di cuore.

Il grande Gatsby di F. S. Fitzgerald (1925) 

Oliver Twist di C. Dickens (1837)

Compaiono anche cibi non molto appetibili come i resti di spazzatura di Gregor Samsa che si trasforma in scarafaggio nel La Metamorfosi di Kafka o i pompelmi tagliati a fettine in un tavolo disseminato da sigarette in Paura e delirio a Las Vegas di Thompson.

martedì 24 febbraio 2015

L'EVOLUZIONE DEL COSTUME NELLA STORIA DEI PREMI OSCAR

Buon pomeriggio a tutti!! Oggi vado un po' di fretta e quindi vi lascio con un rapido post incentrato sull'evoluzione del costume nella storia della Cerimonia degli Oscar. 
Proprio ieri girovagavo su internet e l'occhio mi è andato su un articolo pubblicato su sito di D che trattava di questo argomento e siccome mi piace moltissimo confrontare stili e mode di vari periodi, ho deciso di proporvelo. 

Vediamo l'excursus storico del modo di abbigliarsi per presenziare (e in certi casi vincere) la famosa statuetta d'oro. 

Da Janet Gaynor che nel 1929 si presenta con foulard, golfino, gonna e calzettoni (modernissimo per quel tempo). Vince tre Oscar per Settimo Cielo, L'angelo della strada e Aurora. Pensate che negli anni '30 Walt Disney si ispira al suo volto per la figura di Biancaneve.

1929 - Janet Gaynor mentre riceve la statuetta



Un'altra famosa attrice che riceve il premio è Claudette Colbert che, proprio nel 1934, diventa una star grazie all'interpretazione in Accadde una notte di Frank Capra accanto a Clark Gable e dietro a questa onorificenza si narra che la Colbert non avrebbe partecipato alla cerimonia di premiazione degli Oscar perché si trovava in treno dubbiosa di poter vincere il premio.

1934- Claudette Colbert riceve la statuetta per Accadde una notte
Altra grande attrice degli anni 30 è Bette Davis che per l'interpretazione in la Figlia del Vento si fa modellare un vistoso abito rosso stretto in vita e molto scollato che la rende molto seducente. 

1939 - Bette Davis riceve l'Oscar al fianco di Spencer Tracy

Dalle mise un po' mascoline passiamo alle dive degli anni 40 che sfoggiano abiti sinuosi, con profonde scollature a V e la predilezione del nero. 

1941 - James Stewart e Ginger Rogers ottengono il premio per Kitty Foyle, ragazza innamorata

1947 - Celia Johnson premiata per il film Breve incontro 

1949 - Jane Wyman moglie di Ronald Regan vince per il film Johnny Belinda 

Gli abiti degli anni 40 li contrapponiamo a quelli indossati negli anni 50 da Grace Kelly la quale preferisce il colore verde ed eleganti guanti bianchi, stile poi ripreso da Amal Alamuddin, moglie di George Clooney.

1954 - Audrey Hepburn vince per Vacanze Romane e indossa un vestito in pizzo di Hedith Head
1955 - Grace Kelly vince per La ragazza di campagna e riceve il premio in un abito color menta disegnato da Edith Head  

martedì 10 febbraio 2015

Diamoci un taglio, ma con stile!

Ammettete che fino a qualche tempo fa, passando davanti alle sale da barba, storcevate la bocca... si, dico proprio a voi maschietti!! Oggi vi parlo di due argomenti che vi stanno molto a cuore: la vostra chioma e la vostra barba. 
Lo so che incentrate gran parte delle vostre possibilità d rimorchiare sulla vostra capigliatura, a maggior ragione che, da qualche tempo a questa parte, va anche in voga il barbone stile vichingo delle sperdute lande dell'Alsazia... 




E' uscito da pochissimo un libro molto interessante che vi potrebbe essere utile per entrare più in confidenza con i saloni da barba ma soprattutto con la cultura che si respira lì dentro. 
Proprio Barber Couture, edito da 24 ORE Cultura, è un viaggio che ripercorre 20 anni di tagli maschili, stili e accessori che hanno caratterizzato il periodo storico dagli anni '40 agli anni '60 e che oggi sono tornati in voga. 


Il libro curato da Giulia Pivetta e illustrato da Matteo Guarnaccia è un semplice e comodo manuale per coloro che vogliono sapere cosa c'è dietro ad una pettinatura che è entrata nella storia e ha caratterizzato il modo di vivere delle persone. 
<< Tolto l'abbigliamento, l'unico indizio che definisce l'ambito storico e sociale in cui vive una persona è la sua acconciatura>> scrive Pivetta. << I capelli sono il termometro attraverso cui ogni mutamento individuale, collettivo e stilistico è più percepibile>>. 

Jimi Hendrix 

martedì 27 gennaio 2015

Facciamo un salto a Kreuzberg!

Se vi dico Kreuzberg sicuramente non vi verrà in mente nulla a meno che non siate amanti del paese delle salsicce e dei crauti... Se così fosse, vi consiglio di continuare a leggere il post. Scherzi a parte, Kreuzberg è un quartiere della ridente e euforica Berlino che ultimamente è sulla bocca di tutti o per meglio dire su tutte le pagine delle testate locali. 





Proprio il settimanale Der Spiegel ha riscontrato una vertiginosa crescita di alberghi a Kreuzberg segno che il quartiere sta riscuotendo un evidente successo. Si pensa che sia diventata abbastanza gettonata per via dell’alto tasso di immigrazione che si respira, tanto da essere soprannominata Klein Istanbul, la piccola Instanbul e che siano stati investiti diversi capitali per ristrutturare edifici e dare una marcia in più alla zona. Esempio calzante è il Diakonissen- Krankenhaus, ex ospedale ideato da Theodor Stein nel 1847, poi trasformato nel Kunstraum Kreuzberg, una vera e propria fucina di opere artistiche dove si organizzano eventi legati ai temi politici e sociali.
Dopo il restyling, ha riaperto da qualche mese lo Science Center Spectrum, il museo della Tecnologia, 1400 mq composti da laboratori in cui si testato prove di ogni tipo.
La fotografia è la protagonista al Martin Gropius Bau; infatti fino a marzo è possibile visitare la mostra dedicata a Barbara Klemm, emblema del giornalismo fotografico.
Per non parlare delle gallerie d’arte, come la Jan Wentrup, che dal centro si è trasferita in questo quartiere, ed è punto focale di collezionisti a caccia di nuovi talenti.



Ha riacquistato nuova linfa anche lo storico S036, il club che prende il nome dal suo codice postale, locale che tra gli anni 70 e 80 era frequentato da Iggy Pop e David Bowie, oltre che da Nick Cave ex residente della periferia. Dietro ad un tranquillo e anonimo portone si nasconde un palcoscenico che ospita concerti sempre diversi che spaziano dal reggae alla musica acustica.
Il suo avversario, per chi ama il blues e jazz, è lo Yorckschlosschen, locale ricavato da un palazzo storico, che consiglia sia talenti locali che artisti famosi, alcuni dei quali ospiti anche del festival Bergmannstrassenfest Kreuzberg jazzt!, che si svolge dal 27 al 29 giugno.




mercoledì 10 dicembre 2014

Se i quadri potessero parlare...



La vedete? Sì, proprio quella graziosa ragazza che ha in mano un cagnolino e lo sta dolcemente coccolando. Lei è Alice Charigot, la donna che avrebbe stregato Renoir. Si tratta di una sarta più che ventenne che vive insieme alla madre (il padre ha pensato bene di emigrare verso le lande americane!) quando nel 1880 conosce il famoso pittore a Montmatre. 

Alice

Lui è un'affascinante scapolo con il doppio dei suoi anni, artista senza un soldo che le propone di posare per lui: sta realizzando Il pranzo dei canottieri e una sua modella lo ha piantato in asso. 
Renoir la ritrae, la mette incinta e dopo 10 anni la sposa per poi continuare a figliare allegramente. Non è l'incipit della versione ottocentesca di Beautiful...

martedì 18 novembre 2014

Quando il cibo di strada diventa gourmet

L'alta cucina scende in piazza e lo fa con tutti i crismi. La scena è la seguente: uno chef pluristellato che serve piatti sopraffini in un chiosco pubblico. Succede veramente a Parigi ed è l'ultima moda culinaria: vendere bignè dolci e salati a costi democratici. 
"Mieux manger, mieux vivre", mangiare meglio e vivere meglio si legge scritto sopra il furgone-bistrot di un grande dei fornelli, Marc Veyrat, il quale propone a soli 13 euro un menu da "pancia mia fatti capanna!"(uova, insalata, brasato di manzo con verdure e tiramisù). 
Anche noi italiani non siamo da meno e fino ad ora il più conosciuto è l'Uliassi Street Food, ristorante-camper che gira per tutto lo stivale. Il proprietario è lo chef due stelle Michel Mauro Uliassi.




Il cibo di strada è un modo autentico di comunicare attraverso sapori, colori e odori e soprattutto è pratico e divertente. 

"Il cibo di strada è la storia di un Paese".
(Gualtiero Marchesi)

Si mangia in strada per non perdere tempo, per risparmiare o semplicemente per gola. 
Non più il banale bar su quattro ruote ma, piccoli e simpatici ristorantini on the road che si focalizzano più sulla qualità, sorprendendo con un ricercato design. 


martedì 28 ottobre 2014

Corri per me!

“Non guardarmi. Muoviti! “, avrebbe potuto dire  Norman Parkinson mentre immortalava le modelle, proprio perché la sua peculiarità, che gli fece raggiungere la fama, fu quella di essere il primo fotografo a ritrarre donne in movimento. In quasi sessant’anni di carriera, Parks (come lo chiamavano gli amici) ha trasformato la fotografia di moda dal glamour degli anni ’30 all’esagerazioni degli anni ’80 (muore nel 1990) scoprendo un nuovo stile.





<<Negli scatti di un tempo>> spiegava << le ragazze avevano le ginocchia “incatenate”. Nella vita di tutti i giorni non ne ho mai conosciuta una così. Le ragazze che vedo, e che mi piace fotografare, camminano, corrono, saltano>>. Il suo acerrimo rivale Cecil Beaton lo definì “un po’ sopra le righe”, Parks era celebre per i suoi baffi impomatati all’insù e per i suoi capi color panna.



Precursore dell’action realism (“realismo in movimento”), Parkinson adorava le immagini che esprimessero più naturalità possibile, intrise di energia e spontaneità. Optava sempre per scattare alla luce del sole e non con l’ausilio di strumenti artificiali e annullò le pose statiche e ambientazioni vecchie ed eccessive per catturare con il suo obiettivo sprazzi di realtà.



Inoltre fu lui ad essere uno dei primi a realizzare servizi fotografici in località esotiche proprio perché adorava viaggiare ed era dell’idea che  <<la macchina fotografica è il mio passaporto. Se il giornale mi chiede: partiresti domani per il deserto del Gobi?” “sicuro”, rispondo, “mandatemi il biglietto”>>.